di Alessandro Lo Russo,

COACHING Fabbrica di Sogni o Fabbrica da sogno?

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Negli ultimi tempi si assiste sovente ad un proliferare di proposizioni di marketing miracolistiche, di dubbio fondamento ed ancor più dubbio valore aggiunto per i clienti.

Ma che cosa è un Coach? Che cosa è il Coaching? Come riconoscere un Coach efficace?

Come evitare di investire tempo, soldi, energie e speranze… invano?

Da dove arriva il Coaching? Dove mi può portare?

Il Coach, signori miei, non è altro che un Allenatore.

Come l’Allenatore Sportivo allena l’Atleta a diventare un Campione, così il Coach (Life o Business) allena la Persona a diventare un Campione nella sua vita e nella sua attività.

Può un Allenatore Sportivo chiudere un atleta in palestra per un paio di giorni e trasformarlo in un Campione?
No!
Perché? Perché un allenamento efficace richiede studio, impegno, applicazione, sudore, feedback costanti (feed-forward) e quindi… tempo.

Abbiamo così definito un primo paletto di cosa è Coaching e cosa è “altro”:

1) IL COACHING E’ UN ALLENAMENTO E, COME TALE SI SVILUPPA SOLO LUNGO UN ARCO TEMPORALE ADEGUATO.

Chi vuole acquisire le competenze per esercitare la professione di Coach non può certo farlo con corsi che durano un mese o – nella peggiore delle ipotesi – addirittura una settimana! Ci vuole un tempo adeguato che permetta – a chi intraprende questo percorso – di interiorizzare gli apprendimenti, e di praticare le coaching skills, e quindi di acquisire un “saper fare” e un “saper essere” e non solo teoria. Corsi che durano una settimana possono al massimo trasmettere conoscenze e protocolli da seguire (che sono in realtà l’antitesi del coaching). Ci vuole tempo anche per sperimentare su se stessi il percorso: non possiamo insegnare nulla agli altri che non abbiamo prima sperimentato su noi stessi.

E questo vale anche per il coachee (il Cliente del Coach). Come all’atleta il tempo e l’impegno di allenamento servono a sviluppare e padroneggiare i muscoli e lo spirito, sotto il feedback costante del cronometro, del metro, del segnapunti e del proprio Allenatore Sportivo, così al Coachee il tempo serve per pianificare, implementare, verificare, riprogettare nuove modalità di portare avanti i propri compiti (Coaching Transazionale) o nuovi modi di intendere e vivere la propria vita (Coaching Trasformazionale) in un universo quantico di infinite possibilità alternative.

D’accordo, ma questo non posso farlo da solo? Perché dovrei aver bisogno di un Coach?

Certo che potresti farlo da solo ma l’affiancamento con un Coach ti permette di arrivare prima e di arrivare meglio, perché:

2) IL COACHING E’ UN’ALLEANZA PARITETICA E DIRETTA TRA COACH E COACHEE.

Il Coach diviene il tuo alleato per realizzare i tuoi obiettivi prioritari, qualsiasi essi siano ed instaura con te una relazione paritetica (io ok – tu ok) basata sull’equazione AUTENTICITA’+COMPETENZA=FIDUCIA.
Questa alleanza profonda permette al Coachee di ricevere nella forma e nel momento più opportuni quegli stimoli e quei feed-forward non giudicanti ma di scoperta che permettono al Coachee di ampliare la consapevolezza delle proprie potenzialità e del proprio contesto catalizzando il suo naturale processo di sviluppo ed arrivando in meno tempo (ed in maggior sicurezza) a livelli migliori di performance personali e professionali, e di maggior benessere.

Tutto quello che non è comunicazione diretta-sincrona tra Coach e Coachee (o gruppi di Coachee-Team) basata su domande potenti di scoperta, empatia e feed-forward non giudicanti è “altro” dal Coaching.
In altre parole, il Coaching non può essere pre-registrato o pre-formulato perché si basa sull’interazione in tempo reale tra Coach e Coachee (o gruppi di Coachee-Team) per dare modo al Coach di essere presente (di persona o da remoto) a quello che sta accadendo al/ai Coachee per supportarlo/i efficacemente nell’estrapolarne i relativi apprendimenti soggettivi  (è anche per questo che i ‘protocolli’ prestabiliti sono antitetici al coaching)
Per questo fine, i gruppi devono essere numericamente contenuti (circa 10-15 persone) o deve essere previsto un momento di affiancamento individuale, altrimenti non si tratterà più di Coaching ma di Formazione, seppure con Coach approach (indoor, outdoor, motivazionale, ecc).

Si ma come faccio io a valutare la competenza di un Coach (o di una scuola di coaching) per effettuare una scelta informata del mio potenziale alleato? 

Grazie di avermi fatto questa domanda !

Tra gli ambiti operativi Life e Business vi è una forte differenza, perché, in ambito Business, i Coach che si propongono alle Aziende (o vengono da queste contattati) interloquiscono con Manager/Imprenditori che sovente conoscono i fondamenti del Coaching (alcuni hanno a loro volta frequentato in prima persona un corso di Coaching) e, semplicemente chiedendoti con quali Aziende hai già lavorato, possono fare un paio di telefonate ed avere un feedback molto preciso sui tuoi ambiti di competenza e la tua efficacia professionale (al di la di quello che tu racconti, il mondo del business coaching è “piccolo”).

L’ambito Life è, invece, caratterizzato da una forte “Asimmetria informativa”, cioè il pubblico ne sa molto molto meno dei Coach (o “sedicenti coach”) su che cosa è il Coaching e cosa è “altro”, anche perché, ultimamente, si assiste ad un proliferare di “vestizioni da coach” di altre professioni (insegnanti, trainer, motivatori, formatori, attori, speaker, ecc) perché il coaching è un fenomeno di moda e suscita spesso più appeal delle vecchie proposizioni professionali; trend, quest’ultimo, incentivato anche da un uso in tal senso dei mass-media nei talent-show, dove, quello che una volta si definiva Giudice, Trainer, Esperto, ecc, viene ora definito vocal-coach, dance-coach, style-coach, ecc, ecc..

La questione è complessa anche perché i background di provenienza dei Coach sono variegati, alcuni, come il sottoscritto, provengono dal management ed hanno scoperto di essere più interessati al development delle persone (dapprima come Manager con Coach-Approach e dopo come Coach Professionista a tempo pieno master in corporate coaching).

Altri sono formatori che hanno aggiunto il coaching alla loro “cassetta degli attrezzi”.

Ci sono anche lavoratori dipendenti, autonomi, casalinghe, pensionati che si sono formati frequentando un corso di coaching per avere un secondo lavoro come entrata addizionale.

Alcuni provengono dal mondo dello sport (allenatori, ex atleti, ecc.) e del wellness.

Qualcuno è uno psicologo professionista che ha aggiunto il coaching al personale corpus di tecniche.

Altri sono consulenti di direzione che hanno voluto aggiungere le competenze di coaching a quelle da loro già possedute.

Taluni sono Counselor che si sono formati anche nel Coaching (a tal proposito è tipica la domanda: “Che differenza c’è tra Psicoterapeuta, Counselor e Coach?” alla quale rispondo generalmente con la seguente metafora sportiva: “Lo Psicoterapeuta è come l’Ortopedico che rimette a posto un arto fratturato all’Atleta, con l’arto in quelle condizioni l’Atleta non può gareggiare; il Counselor è come il Fisioterapista che ti risolve una contrattura muscolare, l’Atleta, altrimenti, gioca male e con dolore; il Coach è come l’Allenatore Sportivo, quello che prende un Atleta perfettamente sano e lo allena per diventare un campione).

Allora come si può effettuare una scelta informata?

Premesso che il contesto di provenienza del Coach ha una sua rilevanza nel tipo di interventi che può svolgere con maggiore efficacia, ad esempio il fatto di essere stato a mia volta Manager e Consulente di Direzione e di avere alle spalle migliaia di ore di Coaching, Team-Group Coaching e TrainingCoaching® in ambiti corporate, mi rende particolarmente abile a leggere il contesto di riferimento dei Manager e ad interagire efficacemente con i Manager che alleno; per lavorare con adolescenti e famiglie è utile avere una formazione psicologica alle spalle, o per lo meno una formazione di tipo umanistico; per agire come Mental Coach in ambito sportivo è utile aver praticato uno sport a propria volta e così via…

Premesso anche che, nel proprio interesse, sarebbe utile leggersi un paio di libri “fondanti” sul coaching, come, ad es. “Coaching” di John Whitmore, per cercare quantomeno di ridurre la propria “asimmetria informativa” prima di contattare dei Coach con cui “allearsi per allenarsi”

La Legge 4/2013 ha posto in essere dei paletti che sono volti a facilitare la scelta informata, da parte del pubblico, di un professionista non ordinista (professioni senza albo professionale e senza esame statale di abilitazione), alveo nel quale rientrano anche i Coach Professionisti.

Rimandando al seguente link per un maggiore dettaglio,

http://www.associazionecoach.com/documentazione

mi limiterò ad evidenziare che la Legge 4/2013 e seg. ha stabilito i seguenti paletti, nell’intento di assicurare la massima flessibilità operativa e di sviluppo al sistema delle Professioni non Ordinistiche le quali si evolvono continuamente per soddisfare le sempre mutevoli esigenze di mercato (che mal si concilierebbero con un rigido sistema ordinistico di carattere pubblicistico) ed, al contempo, provvedere ad una rete di informazione e tutela per i Consumatori Clienti:

-L’esercizio delle Professioni non ordinistiche (Coaching, nel nostro caso) è libero e non richiede alcuna iscrizione ad alcun Albo professionale (che, per i Coach, non esiste e non esisterà mai);
-Le Associazioni Professionali stabiliscono, in piena autonomia, i requisiti necessari per potersi iscrivere e dei quali si fanno garanti verso il pubblico (attestazioni);
-Le Associazioni Professionali aprono degli sportelli ai quali i consumatori si possono rivolgere per informazioni sul coaching o reclami riguardanti i Coach associati;
-Le Associazioni Professionali svolgono attività divulgativa sul Coaching presso il Pubblico;
-Le Associazioni Professionali espongono online l’elenco degli Associati e le loro caratteristiche professionali;
-Le Associazioni Professionali stabiliscono democraticamente un proprio Codice Etico che va osservato dai Professionisti associati e sanzionano, sino alla espulsione, i Professionisti associati che non lo rispettano;
-Le Associazioni Professionali stabiliscono un numero di ore minimo di aggiornamento obbligatorio per gli Associati (40 ore annue per l’Associazione Italiana Coach Professionisti) a tutela della qualità professionale dei propri Associati;
-Le Associazioni Professionali partecipano insieme ad un tavolo UNI per definire una norma UNI di CERTIFICAZIONE (unica “Certificazione” legale in Italia, attualmente ancora in corso di definizione) ad opera di Certificatori professionali terzi alle Associazioni stesse a cui qualsiasi Professionista, iscritto o meno ad una o più Associazioni, può liberamente decidere se certificarsi come conforme o meno.

– La associazioni professionali stabiliscono alcuni requisiti minimi a cui le scuole di coaching devono attenersi per poter essere riconosciute come valide.

In pratica, il Legislatore ha voluto porre le Associazioni Professionali come una possibilità (non un obbligo) per il Consumatore per ridurre quella asimmetria informativa a cui facevo riferimento prima e sarebbe veramente poco saggio non sfruttare l’occasione da parte del Consumatore.

Per quanto riguarda le scuole di Coaching, è opportuno andare a verificare qual’è il curriculum e l’esperienza dei coach docenti.  Da quanto tempo fanno coaching e con quali risultati.  Quanti allievi coach la scuola ha formato e in quanto tempo.  Cercate di guardare alla sostanza, tenendo conto del fatto che comunicare in modo efficace sul web non è sempre sinonimo di efficacia  professionale. Qualsiasi scuola di coaching dovrebbe trasmettere il valore dell’apprendimento continuo (life long learning) motivato da passione e impegno: chi fa il Coach è allievo per tutta la vita e non smette mai di imparare e di progredire. Diffidate invece da chi ‘vende’ l’idea del successo facile e senza sforzo (disvalore della nostra epoca), ovvero l’illusione che in pochi giorni di corso si possa imparare tutto ed avviarsi ad una nuova professione con facili guadagni. Parliamo – tra l’altro – di una professione nel quale il mercato è saturo: le differenze in questo settore (decisive nel decretare il successo o l’insuccesso di un Coach) la fanno lo spessore, le competenze, la passione e l’etica del Coach.

Ma veramente pensavo di scegliere il Coach più simpatico…!?!
Un parametro scientificamente dimostrato come determinante per l’efficacia del Coach (e delle Professioni di Aiuto in genere) è la competenza empatica (il capire cosa tu senti, perché ed agire di conseguenza) non il risultarti simpatico (cioè piacevole); il Coach per alcuni aspetti ti risulterà piacevole (ascolto, empatia, celebrazione dei passi e dei successi, rispetto, ecc), per altri molto meno (disciplina, metodo, sfida fuori da zona di confort, feedback spiacevoli), l’importante è che sia EFFICACE, non tanto che ti sia simpatico.
Per essere un alleato efficace il Coach deve essere capace di entrare in sintonia empatica con te perché tu possa sentire l’alleanza con lui/lei come una importante risorsa per te, a tal proposito una prima sessione gratuita di prova può dare indicazioni importanti e, viceversa, il fatto che tale sessione introduttiva gratuita non venga offerta, indicativo.

Ma lui ha il sito internet più figo…!?!
Bene, vuol dire che è bravo nel marketing online, lo sarà altrettanto nel Coaching? Chissà!

Ho letto il suo blog/libro e mi è piaciuto molto!
Bene, con la prima sessione introduttiva gratuita potrai vedere se il Coach pratica quello che predica, o no e decidere di conseguenza (soprattutto se viene richiesto il pagamento anticipato di una o più sessioni, prassi che personalmente ritengo indicativa più di affezione verso il tuo portafoglio che verso te come persona, mentre per me lavorare con un Coachee significa il massimo commitment di entrambi verso il tuo obiettivo finale).

E questo vale anche per le scuole di coaching. A volte alcune scuole di coaching sono centrate su una singola figura carismatica di un guru,  molto efficace e persuasivo nel comunicare. Ma per comprendere la reale efficacia di una scuola occorre sentire la testimonianza di chi vi ha partecipato, e sentirla anche a distanza di qualche anno dalla conclusione del corso – non solo ‘a caldo’.  Vedere se il corso gli ha realmente aiutati ad acquisire delle competenze e a costruirsi una professionalità. E che impatto ha avuto l’esperienza del corso sul proprio percorso di vita e professionale

Last but not least una considerazione che vale per tutti i tipi di Professionisti, sia che si tratti di scegliere un Medico, un Allenatore, ecc:
in ogni professione e sottolineo OGNI PROFESSIONE ci sono operatori eccellenti, buoni, mediocri, pessimi, per cercare i Professionisti del primo e secondo quartile bisogna anche sentire (direttamente o indirettamente) Persone/Aziende che hanno già lavorato con quel Professionista, come descrivono l’esperienza fatta. E l’esperienza deve riguardare il Coaching, e non altro. Il fatto di esibire nel proprio curriculum come Coach esperienze di altro genere – anche prestigiose- (come ad esempio di direttore marketing o di Manager in aziende rinomate) non dimostra nulla a livello di Coaching skills, e serve in genere a ‘celare’ la mancanza di esperienza come Coach.  In tal senso referenze su Linkedin, video testimonianze, telefonate/mail ad ex-Clienti possono essere preziose e la loro assenza, viceversa, indicativa.

Quanto sopra vale a maggior ragione nel Coaching dove empatia, autenticità ed integrità del Coach, cioè le caratteristiche personali del Coach sono elementi importanti tanto quanto la formazione tecnico-professionale che, senza le prime, rimane pressoché inefficace in termini di generazione di valore aggiunto per il Coachee per “mancata Alleanza”.

Alessandro LoRusso ©  Master TrainerCoach ICTF
Past President Associazione Italiana Coach Professionisti

Articolo Pubblicato su:  CoachMag 19 – 30/01/2015
www.coachmag.it

 

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